Gyles Brandreth ci racconta delle avventure di Oscar Wilde detective sulle tracce di un assassino misterioso in una trama che unisce giallo, gotico, Sherlock Holmes e paesaggi vittoriani
Abbiamo il dovere di fare tutto il possibile per quelli come Billy Wood, che non possiedono nulla, dobbiamo essere amici di chi non ha amici, Robert.
Immaginatevi a 10 anni: attualmente vivete in un appartamento in Baker Street perché i vostri genitori, per motivi di lavoro, hanno dovuto trasferirsi lì. Mentre fate colazione con il solito pudding, sbirciando dalle finestre rigate di pioggia e spostando un po’ le leggere tendine a fiori, potete vedere il portone del 221B, o almeno voi immaginate con tutte le forze che lo sia.
Questo è ciò che accadde a Gyles Brandreth, autore di “Oscar Wilde e i delitti a lume di candela”, un romanzo del 2007, tradotto in Italia nell’anno successivo dalla casa editrice Sperling & Kupfer, il primo di una serie di sei storie (delle quali solo tre sono state tradotte in italiano) che mettono in campo un binomio investigativo particolare: Oscar Wilde investigatore e Arthur Conan Doyle, esperto di delitti e indagini, come consulente.
Il giovanissimo Brandreth, ora straordinario uomo di spettacolo, ex parlamentare e supervisore governativo, fu affascinato fin da ragazzo dal personaggio di Wilde e dai suoi romanzi, e fu un grande fan anche delle storie di Sherlock Holmes. Quando nel 1990, leggendo l’autobiografia di Doyle, Brandreth scoprì la storia della “gold evening” ossia della cena durante la quale l’autore di origini scozzesi e Wilde si incontrarono al Langham Hotel di Londra grazie alle insistenze del direttore editoriale del Lippincot’s magazine di Philadelphia, il romanzo che avrebbe scritto, nella sua testa, era già pronto (o quasi). Inoltre il “rapporto” fra Brandreth e Wilde sembrava segnato anche da un’altra curiosa coincidenza: il rettore quasi centenario della scuola Beadles, frequentata dall’autore di questo giallo, era stato amico personale di Oscar Wilde e su lui a raccontare a Brandreth della personalità ironica e istrionica del romanziere di origini irlandesi. Incredibile, no?
In effetti la tentazione di immaginarsi le conseguenze di quella cena incredibile (chi non avrebbe voluto essere lì, se non altro anche solo a fare il cameriere per godersi quella scena?) non è da biasimare, come non lo è affatto il romanzo di Brandreth che non rientra nei cosiddetti apocrifi sherlockiani ma che merita una lettura da parte degli amanti dei gialli ambientati in epoca vittoriana, con le sue eccezionali atmosfere cupe, umide e affascinanti. Il protagonista assoluto di questa storia è Oscar Wilde, ritratto da Brandreth in modo competente anche se a volte forse un po’ troppo celebrativo.
La trama
Lo scrittore autore de “Il ritratto di Dorian Gray” scopre in una stanza addobbata come per un sacrificio rituale, il corpo senza vita di un ragazzino, Billy Wood, le cui origini umili e la necessità di denaro, lo portano ad accettare la compagnia di uomini molto più grandi di lui. Wilde, con istinto quasi paterno, decide che quel delitto non potrà restare impunito e che sarà lui stesso ad occuparsi del caso ma solo dopo aver chiesto con sollecitudine quasi infantile, la presenza e i consigli del suo amico Arthur Conan Doyle.
La trama si sviluppa un po’ lentamente all’inizio ma raggiunge un buon ritmo a partire dalla metà del romanzo, con il complicarsi della vicenda criminale e il delinearsi delle capacità di Wilde come detective, novello allievo dei metodi di Sherlock Holmes. Oltre alla presenza come personaggio (anche se defilato) di Conan Doyle, il parallelismo con le storie di Holmes nel romanzo, si ritrova anche nella struttura narrativa: le vicende investigative di Wilde vengono narrate, infatti, dal suo amico e poi biografo Robert Sherard, giornalista spiantato e costantemente preda più che volontaria, di amori impossibili e passionali ma che nutre profonda ammirazione e affetto per Oscar.
Il rapporto fra Wilde e Doyle e il ruolo di quest’ultimo nella soluzione del caso si risolvono molto bene alla fine del racconto, quando risulta chiaro quanto l’apporto del medico e scrittore scozzese siano stati determinanti. Come una sorta di nume tutelare delle indagini complicate, Doyle, appare qui quasi in versione paterna nei confronti del passionale e idealista Wilde che opera senza risparmiarsi, con buona pace della moglie Constance. Lasciando da parte la necessità a volte pesante di dover riportare a tutti i costi nei dialoghi le celeberrime citazioni di Wilde, alcune delle quali inventate dallo stesso Brandreth, “Oscar Wilde e i delitti a lume di candela” è un libro piacevole, che ha come pregio assoluto quello di raccontare perfettamente le atmosfere di fine Ottocento, di narrare bene i rapporti fra i protagonisti, delineandone chiaramente caratteri e debolezze, nonché di raccontare un caso non eccezionalmente originale nello sviluppo, ma che alla fine lascia comunque soddisfatti.
Per chi volesse leggere i racconti dedicati alla coppia investigativa Wilde-Doyle creata da Brandreth in italiano, sono stati tradotti solo altri due dei sei romanzi: “Oscar Wilde e il sipario strappato” e “Oscar Wilde e il gioco della morte” (del quale potete ascoltare una puntata dei podcast), entrambi sempre editi da Sperling & Kupfer.
Consigliato: sì
Adatto agli sherlockiani: ni
Da leggere più volte: no
Gyles Brandreth
Oscar Wilde e i delitti a lume di candela
Sperling & Kupfer
2007
euro 16,00