La stanza di Sherlock

“Il mistero delle due cugine” di Anna Katherine Green

Lei, donna della metà dell’Ottocento, osò avere successo con un libro giallo, genere che sembrava dovesse esserle precluso. Il suo romanzo è diventato parte della storia della letteratura.

Nel 1878 un’assemblea legislativa della Pennsylvania si riunì per stabilire se quel libro di così grande successo potesse davvero essere stato scritto da una donna. Rimasero a bocca asciutta, perché “The Leavenworth case“, tradotto in Italia per alcune edizioni con “Il mistero delle due cugine“, era opera di Anna Katherine Green, che viene ricordata come la prima scrittrice di detective story della letteratura mondiale.

La poetessa giallista

Green scrisse nella sua carriera, durata quasi 45 anni, 34 romanzi gialli, dei quali solo un parte è stata tradotta in Italia grazie a Mondadori e Newton Compton. Eppure questa autrice, amante della poesia, viene ricordata principalmente per essere stata la prima ad utilizzare l’espressione “detective story” per delineare il genere di appartenenza della sua storia.

I primati di questa autrice statunitense, figlia di un avvocato penalista e laureata in Lettere nel Vermont, non finiscono qui. Fu anche la prima donna a voler firmare il suo romanzo senza pseudonimi maschili o nomi che non facessero trapelare in modo lampante il suo genere. E ancora, fu la prima ad utilizzare un personaggio ricorrente, creando una serie di libri che lo vedevano protagonista (il detective Ebenezer Gryce, per l’esattezza). Non basta: fu lei a creare la prima detective donna della letteratura gialla, certa Violet Stringe, che fa la sua comparsa nel 1900 nel romanzo “Difficult problem and other stories“.
Ma siamo certi che effettivamente Green ebbe tutti questi primati?

Seeley Regester, al secolo Metta Victoria Fuller Victor.

PRIMA DELLA PRIMA?

Secondo la critica letteraria il primo romanzo a presentare le caratteristiche di un vero giallo scritto da una donna, fu “The dead letter” di Seeley Regester nel 1866, eppure un grosso “ma” incombe su questa competizione. Regester, infatti, scrisse una storia nella quale il detective possedeva facoltà paranormali e di chiaroveggenza, caratteristiche che non collimavano minimamente con le “regole” che fanno di una storia gialla un vero mistero. Inoltre il libro non ebbe nessun successo di vendite, al contrario de “Il caso Leavenworth” che vendette ben 1 milione e mezzo di copie.
Sta di fatto che per questo “fallo di mano”, Regester passò in secondo piano e la storia del giallo ha incoronato Green come inventrice dell’espressione “detective story“.
E pensare che Anna Katherine non voleva affatto fare la scrittrice di gialli, bensì la poetessa. Fu la sua matrigna a spingerla a dedicarsi, invece, a questo genere più remunerativo, per poter poi dare sfogo alla sua vena sognatrice e romantica in versi, una volta diventata celebre.

Se su cento circostanze capitali connesse con un delitto, novantanove indicano una persona sospetta, ma la centesima è un atto che quella persona non può aver compiuto, tutto l’edificio dei sospetti, crolla.

Ebenezer Gryce

La trama

Veniamo alla storia delle due cugine, in breve. Ambientata negli Stati Uniti e per la precisione a New York, la vicenda narrata da Green ci presenta subito l’omicidio del signor Levenworth, uomo ricco dal temperamento solido e volitivo, trovato morto stecchito alla scrivania della sua gigantesca biblioteca nella sua altrettanto gigantesca villa nella quale vive con due nipoti – adottate e trattate come figlie – con un modesto numero di domestici e un segretario personale. Durante le indagini del Coroner l’attenzione viene immediatamente puntata sulle due donne, entrambe bellissime, ma dai caratteri profondamente diversi. Mary ed Eleanore sembrano rappresentare la notte e il giorno davanti ai giurati, che ascoltano con attenzione le loro tremanti dichiarazioni. La stanza dell’omicidio chiusa dall’interno e la villa sigillata, fanno di questo caso un esempio di delitto della camera chiusa.
Le due donne vengono supportate da Everett Raymond, giovane avvocato dello studio omonimo, che si trova, a causa dell’assenza del suo socio e amico della famiglia Leavenworth, a fare i conti con il caso in quanto “avvocato di famiglia”. Le indagini passano al detective della polizia Ebenezer Gryce che accetta le ricerche e le indagini parallele condotte da Raymond, che ha come unico obiettivo quello di allontanare qualsiasi sospetto dalle due donne, dalle quali, manco a dirlo, è completamente incantato.
Le indagini saranno molto complesse ma è solo grazie all’esperienza sul campo di Gryce che si arriverà a risolvere il mistero.

Non basta cercare le prove dove ci si aspetta di trovarle. A volte bisogna cercarle dove non ve le aspettate.

Ebenezer Gryce

MA COM’È QUESTO ROMANZO, QUINDI?

Se è vero che sia Arthur Conan Doyle (che scrisse il suo primo Sherlock solo nel 1887), che Agatha Christie e lo stesso presidente Franklin Delano Roosevelt, si dichiararono ammiratori della Green, il romanzo non è una perla se non per meriti di carattere “storico”.

Le ricostruzioni dell’indagine sono minuziose grazie alla formazione “casalinga” di Green datagli dal padre, avvocato penalista, e su quello non si discute. Ma è proprio a causa di questa minuziosità che il libro, nonostante una storia molto bella e ricca di colpi di scena, annega fra ricostruzioni dei fatti lunghissime e un clima di romanticismo e “polsi tremanti” che a volte fanno stridere i nervi. Le due cugine risultano altamente insopportabili: volubili, perse nel loro mondo, convinte che il solo fatto di essere donne le ponga al riparo dall’essere oneste e attive, continuamente cinguettanti (ma con pudore vittoriano, s’intende) davanti ai dubbi del giovane avvocato che non vuole arrendersi all’ipotesi (una delle tante) di una possibile colpevolezza di una delle due (o di entrambe) per il solo fatto che sono molto belle. Mary e Eleanore sono scioccamente misteriose e pesantemente ottocentesche.
Il personaggio di Raymond, l’avvocato, è una sorta di spalla che, essendo narratrice diretta della vicenda, però, fa quasi da protagonista; pur essendo le sue indagini utili ma per motivi sbagliati, non ha una grande personalità, anzi.
Applausi scroscianti, invece, per Ebenezer Gryce che, anche se delineato con poche pagine e interventi decisamente minoritari in termini di righe, è delizioso, denso, pienamente delineato in termini di personalità e ottimo indagatore. Le pagine in cui compare sono quelle nelle quali ci si dice: “Ooh, e finalmente arriva Ebenezer“.
Quello che sorprende è che una donna come Anna Katherine Green, che ha scardinato quintali di schemi e stereotipi sulla donna trasformandoli in cambiamenti e azioni concrete, abbia costruito in questo romanzo un’immagine della donna così fastidiosa e da romanzo feuilleton di pessima risma. Mistero.

Consigliato: sì, ma solo in quanto storia del giallo
Adatto agli sherlockiani: assolutamente no
Da leggere più volte: 
no

Anna Katherine Green
Il mistero delle due cugine
Mondadori
(Non si trova nuovo, ma usato a carrettate)