Incontrati per puro caso in una libreria dell’usato, i due volumi della saga che vedono protagonista il detective inglese William Arrowood sono talmente belli che è stato difficile crederli così poco “famosi”.
Lo so bene che c’è di mezzo il marketing e tante di quelle dinamiche ad incastro che è difficile persino immaginarsele per chi nell’editoria non ci lavora (ma risultano fastidiose anche per me che ci lavoro), però trovo imperdonabile non aver mai sentito parlare dei libri con protagonista Arrowood. Ora, il minimo che io possa fare qui nella Stanza è spiegarvi perché questo personaggio e i due libri che lo vedono protagonista, siano eccezionali.
Holmes: la nemesi
Prima cosa: Mick Finley, lo scrittore che ha creato questo detective deve essere uno di quei personaggi con i quali potresti parlare per 18 ore di seguito senza timore di annoiarti. Adesso fa il professore di psicologia fra Brighton e Cambridge ma prima ha lavorato come assistente sociale, macellaio, ha gestito una bancarella a Portobello Road, è stato portiere di un hotel e ha lavorato in un circo itinerante. Ok: quello che oggi viene definito giustamente “multipotenziale” mentre 20 anni fa, Mick sarebbe stato etichettato con un meno intelligente: “Non hai mica ben capito cosa vuoi nella vita”.
Holmes lavora sulla base di indizi concreti e della sua famosa logica, e nel mio lavoro ho scoperto che in molti casi non c’è alcun indizio. Invece, ci sono persone e le persone non sono logiche. Le emozioni non sono logiche.
Seconda cosa questo personaggio ha a che fare con Sherlock Holmes, primo perché Harper Collins nel 2018 fu abbastanza furba da citarlo nella copertina del primo volume -“L’alta società chiede aiuto a Sherlock Holmes. Tutti gli altri vanno da Arrowood” si legge – secondo perché c’è un rapporto psicologico fra il protagonista e Holmes che è non solo interessantissimo ma anche di una rara finezza. William Arrowood non ama Holmes, anzi, pur lavorando nella stessa città, nello stesso periodo e a pochi isolati di distanza dal famosissimo detective di Baker Street, lo vive come una nemesi complessa. In una sorta di sindrome di Stoccolma, Arrowood legge delle sue gesta, analizza i suoi casi, ne individua gli errori ma, non troppo segretamente, ne comprende il valore pur non riuscendo a farsi una ragione del suo personale insuccesso. Arrowood è controcorrente ma non è un eroe, ha tante debolezze, difetti enormi, incorre persino in stati di alterazione del comportamento, beve, ha mille acciacchi più o meno gravi, è sovrappeso e non certo affascinante ma è questo che lo rende perfettamente umano.
Altro personaggio perfetto di questi due romanzi – solo due su quattro sono stati tradotti in italiano – è l’assistente di Arrowood e narratore della storia, Barnet, che ha tutto il fascino che non ha il suo datore di lavoro, ma non certo il fascino di Holmes: quella di Barnet è un figura silenziosa, tormentata nel male, introversa, saggia ma anche fragile e profondamente rotta nei suoi contrasti interiori. Anche il suo rapporto con Arrowood è talmente ben delineato che è difficile darvene conto. Questi libri sono bellissimi, non c’è molto altro da dire.
Le storie, i due volumi
Nel primo volume inizia la narrazione della storia dei personaggi: conosciamo Arrowood, il suo rapporto con Holmes, il suo matrimonio ormai finito, la sua caparbietà ma anche la sua profonda conoscenza dei primi rudimenti della psicologia, chiave che il detective usa mirabilmente per districare i casi che gli vengono sottoposti da clienti in cerca di un detective meno “caro” di Holmes. Conosciamo anche Barnet, la sua capacità di essere ombra del suo capo ma anche sua guida e riferimento e non solo. Conosciamo anche Ettie la sorella suffragetta di Arrowood, altro personaggio incredibile. Ed infine scopriamo Neddy, un bambino poverissimo che William ha preso sotto la sua ala protettrice trasformandolo in un piccolo aiutante (una sorta di irregolare ma molto più “figlio”). Il caso è complesso, intreccia la malavita irlandese e un testimone chiave che viene ucciso davanti agli occhi increduli di Arrowood che non mollerà il caso fino alla fine, nonostante le mille difficoltà e il rapimento di Neddy.
“La verità non funziona così, William” obiettai.
” È esattamente così che funziona. Chi di noi conosce perfettamente qualcun altro? Alla fine, dobbiamo decidere di chi fidarci”.
La seconda storia è ancora più bella: una ragazza con ritardo mentale sposa un uomo che la conduce via di casa. I genitori dopo mesi non riescono più a contattarla e si rivolgono ad Arrowood per cercarla. La vicenda che il detective e il suo aiutante si troveranno davanti scaverà nei recessi dell’animo umano, in una fossa del male, appunto, portandoci a conoscere meandri che non vorremmo immaginare e dove tutto quello che sembrava, non è. I personaggi in questa seconda storia crescono ancora, soprattutto Barnet che… guai a voi se non lo amerete alla follia.
Perché leggere questi romanzi?
Troverete un mondo incredibile in queste storie. Finlay è proprio un grande autore perché è riuscito ad accostare a Holmes (che in queste storie è solo un’ombra) un personaggio che non ve lo farà rimpiangere. Non si tratta di un’operazione furba e senza cuore, tutt’altro: qui troverete cuore, anima, stomaco, visceri di una Londra molto meno borghese e semplice di quella di Doyle. Finlay filtra attraverso il portato della sua contemporaneità una storia che non stona per nessun motivo con l’ambientazione. Queste storie sono vittoriane nel midollo, i gialli sono belli, non scontati e Arrowood e Bernet si ficcheranno nei vostri cuori, ve lo assicuro.
Consigliato: certamente
Adatto agli sherlockiani: sicuramente
Da leggere più volte: sì